Prima di andare a letto raccontare la fiaba della buona notte è una prassi molto diffusa. Le luci si spengono, i bambini si rilassano e la voce suadente della mamma o del papà accompagna i piccoli nel dolce sonno. Il quadro è abbastanza idilliaco ma non sempre si avvera! Spesso (molto spesso...) i bambini sono ancora super eccitati dalla giornata trascorsa, non vogliono dormire, vogliono guardare la tv e ascoltare semplicemente la fiaba per loro, bambini 2.0 è quasi noioso. Ecco allora che può venire in aiuto un piccolo aggeggio a batterie che nel buio della stanza catturerà la loro attenzione.
Si tratta del video proiettore a batterie che potete acquistare a poco più di 3 euro qui o a un prezzo maggiore qui per il modello che mostra le immagini di Planes, qui per i dinosauri e qui per raccontare una storia sui cavalli e i pony.
Insomma anche questo mezzo può essere una buona idea per cercare di conciliare il sonno dei bambini.
Raccolta casuale di impressioni, sensazioni, esperienze, tentativi ed errori di una mamma alle prime armi.
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mercoledì 20 gennaio 2016
giovedì 8 ottobre 2015
Come le maglie di una catena
In occasione di un concorso letterario indetto da Fecarotta gioielli (Palermo) ho scritto questo racconto inedito. Non ho vinto ma mi è piaciuto scrivere di nuovo e spero che il mio racconto piaccia anche a voi.
Non riuscivo a smettere di fissare quel dito. Da quando ho memoria, qualsiasi conversazione avessi avuto con lei quando gesticolava per raccontarmi cosa aveva fatto la signora Aprile o per mescolare il ragù di tonno, i miei occhi erano sempre stati ipnotizzati da quel dito. Un taglio netto, cicatrizzato perfettamente sotto la base dell'unghia aveva creato una specie di doppio indice. Il polpastrello era diviso a metà perpendicolarmente. Era successo tanto tempo fa, non le faceva male ma io lo guardavo sempre fisso. Alla base di quel dito indossava un anello d'oro. Oro antico, direi anzi vecchio. Un vecchio anello d'oro ormai opaco e consumato dall'uso quotidiano caratterizzato da una chiocciola sovrastante. Era davvero brutto e sopra quel dito deforme lo diventava ancora di più. Collare osceno di una testa martoriata. Non era soltanto brutto era anche stretto, le stritolava l'indice come se lo volesse punire in una morsa che ormai le aveva annullato la sensibilità. Non lo toglieva mai quell'anello anche quando puliva il pesce che ogni giorno mio nonno dalla sua pescheria le portava. Era un anello vecchio, opaco e puzzolente di interiora di pesce. "Hai capito allora che nel ragù devi metterci lo zucchero? Mi senti?" "Si nonna" rispondevo trasalita dal suo rimprovero. Temevo sempre che capisse la mia curiosità mescolata al disgusto per quel dito e per il suo orribile anello. Ero una bambina curiosa e diverse volte le chiesi il perché di quella strana deformazione. Dava sempre spiegazioni vaghe e divergenti. Un giorno mi rispose che le era successo mentre giocava con i suoi fratelli che intagliavano il legno per realizzare una fionda. Lei doveva tenere il pezzo di legno mentre Calogero faceva su e giù con la lama per levigare il legno. Un colpo maldestro, una botta e il coltello si infilzò sul suo dito. Un'altra volta mi disse che le era capitato mentre con sua cugina Teresa erano andate a prendere le uova nel pollaio. La cugina spostava malamente le galline con un piede e lei doveva prendere le uova ma proprio quel giorno oltre all'uovo trovò una lama affilata tra escrementi di gallina e paglia e il dito incominciò a sanguinare. Nessuno dei racconti mi convinceva però, perché incorniciare un dito deforme con un anello orribile? Una volta però forse perché stanca delle mie domande, forse perché stanca delle sue risposte mi raccontò un'altra storia. Tutto accadde quando era piccola. Lei sesta figlia di una nidiata di otto figli fu cresciuta dalle zie materne. Erano altri tempi diceva lei, ma dentro sapevo che aveva tutto il rancore di cui un essere umano è capace per essere stata emarginata dalla sua famiglia di origine ed essere stata cresciuta da quelle tre zitelle. Per spregio, per diletto e per pura cattiveria cercava in ogni modo di rendersi odiosa alle tre zie e, a quanto pare, le riusciva anche bene. In una delle sue avventure nell'intento di disubbidire e innervosire la più grande delle tre prese un ago che si trovava vicino al fuoco e da quel momento la sua vita e la sua mano cambiarono per sempre. La zia maggiore per riuscire a campare rammendava le divise dei soldati e gli zaini che erano molto duri e per riuscire a perforarli con l'ago doveva prima riscaldarlo affinché affondasse dolcemente sulla stoffa resistente che nelle sue mani diventava burro fresco. Diverse volte mia nonna aveva tentato di prendere quell'ago che diventava rosso e poi cremisi poi arancione e giallo quasi bianco. Era affascinata da quel cambio di colori e dalla cura che aveva la zia nel maneggiare quel pericoloso arnese. Ogni volta però una bacchettata sulle mani sorda e rapida come lo sguardo di ghiaccio della zia le avevano fatto cambiare idea. Eppure era certa che sarebbe stata in grado di farlo anche lei, avrebbe cucito degli zaini per i soldati meglio di come faceva sua zia e magari uno di quei giovanotti un giorno sarebbe diventato suo marito e l'avrebbe trattata come una regina portandola lontana dalle tre mamme acquisite. Un giorno finalmente la zia si allontanò lasciando incustodito il prezioso ago. Lei non ci pensò su due volte e afferrò quell'ago con della stoffa per non bruciarsi. Era così bello di un calore avvolgente. Dolcemente lo affondò tra l'unghia dell'indice e il polpastrello, giù quasi fino alla base. Avrei voluto chiederle perché avesse fatto quella mossa assurda ma non volevo interromperla. Aveva uno sguardo assente lontano nel tempo e nello spazio uno sguardo collegato come un filo sottile alla sua giovinezza e continuai ad ascoltare. L'ago scese dolcemente e tra l'odore di carne bruciata e i suoi occhi affascinati improvvisamente tutto si fece nero. Quando si svegliò il dito era deforme ma sano. Affrontò tre giorni di febbre con la mano fasciata e l'infezione che stava per trascinarla in un pozzo nero senza fine. Poi per destino guarì ma il dito roseo rimase sfregiato. Le tre zie per quanto arrabbiate pregarono ogni giorno e ogni notte al capezzale del suo letto facendo un voto a Santa Rosalia se mai l'avesse salvata. "Le compreremo un anello d'oro con i soldi che questo ago ci frutterà. Lo faremo in tuo onore, Santuzza, e lo indosserà sempre per tua devozione". All'alba del terzo giorno quando la febbre sparì le zie le donarono quell'anello. Le dissero che avrebbe dovuto indossarlo sempre in quel dito poiché la Santuzza l'aveva salvata e pechè mai avrebbe dovuto dimenticare che ognuno, nella vita, deve tenere il proprio posto come l'anello al dito così lei in quella casa. Che le piacesse o meno. Capì che non ci sarebbe stato nessun soldato gentile per lei. Le zie avevano già deciso che avrebbe sposato il figlio dello zzu Mommuzzo che già lavorava in pescheria da suo padre dimostrando di essere un buon lavoratore e quindi un buon marito. "U capisti?" La sua domanda schioccò come una frustata nella stanza, "Sì sì!" risposi e non le chiesi più nulla sul suo dito e sulla sua catena le cui maglie strette erano nascoste nell'oro opaco di quel brutto anello.
Non riuscivo a smettere di fissare quel dito. Da quando ho memoria, qualsiasi conversazione avessi avuto con lei quando gesticolava per raccontarmi cosa aveva fatto la signora Aprile o per mescolare il ragù di tonno, i miei occhi erano sempre stati ipnotizzati da quel dito. Un taglio netto, cicatrizzato perfettamente sotto la base dell'unghia aveva creato una specie di doppio indice. Il polpastrello era diviso a metà perpendicolarmente. Era successo tanto tempo fa, non le faceva male ma io lo guardavo sempre fisso. Alla base di quel dito indossava un anello d'oro. Oro antico, direi anzi vecchio. Un vecchio anello d'oro ormai opaco e consumato dall'uso quotidiano caratterizzato da una chiocciola sovrastante. Era davvero brutto e sopra quel dito deforme lo diventava ancora di più. Collare osceno di una testa martoriata. Non era soltanto brutto era anche stretto, le stritolava l'indice come se lo volesse punire in una morsa che ormai le aveva annullato la sensibilità. Non lo toglieva mai quell'anello anche quando puliva il pesce che ogni giorno mio nonno dalla sua pescheria le portava. Era un anello vecchio, opaco e puzzolente di interiora di pesce. "Hai capito allora che nel ragù devi metterci lo zucchero? Mi senti?" "Si nonna" rispondevo trasalita dal suo rimprovero. Temevo sempre che capisse la mia curiosità mescolata al disgusto per quel dito e per il suo orribile anello. Ero una bambina curiosa e diverse volte le chiesi il perché di quella strana deformazione. Dava sempre spiegazioni vaghe e divergenti. Un giorno mi rispose che le era successo mentre giocava con i suoi fratelli che intagliavano il legno per realizzare una fionda. Lei doveva tenere il pezzo di legno mentre Calogero faceva su e giù con la lama per levigare il legno. Un colpo maldestro, una botta e il coltello si infilzò sul suo dito. Un'altra volta mi disse che le era capitato mentre con sua cugina Teresa erano andate a prendere le uova nel pollaio. La cugina spostava malamente le galline con un piede e lei doveva prendere le uova ma proprio quel giorno oltre all'uovo trovò una lama affilata tra escrementi di gallina e paglia e il dito incominciò a sanguinare. Nessuno dei racconti mi convinceva però, perché incorniciare un dito deforme con un anello orribile? Una volta però forse perché stanca delle mie domande, forse perché stanca delle sue risposte mi raccontò un'altra storia. Tutto accadde quando era piccola. Lei sesta figlia di una nidiata di otto figli fu cresciuta dalle zie materne. Erano altri tempi diceva lei, ma dentro sapevo che aveva tutto il rancore di cui un essere umano è capace per essere stata emarginata dalla sua famiglia di origine ed essere stata cresciuta da quelle tre zitelle. Per spregio, per diletto e per pura cattiveria cercava in ogni modo di rendersi odiosa alle tre zie e, a quanto pare, le riusciva anche bene. In una delle sue avventure nell'intento di disubbidire e innervosire la più grande delle tre prese un ago che si trovava vicino al fuoco e da quel momento la sua vita e la sua mano cambiarono per sempre. La zia maggiore per riuscire a campare rammendava le divise dei soldati e gli zaini che erano molto duri e per riuscire a perforarli con l'ago doveva prima riscaldarlo affinché affondasse dolcemente sulla stoffa resistente che nelle sue mani diventava burro fresco. Diverse volte mia nonna aveva tentato di prendere quell'ago che diventava rosso e poi cremisi poi arancione e giallo quasi bianco. Era affascinata da quel cambio di colori e dalla cura che aveva la zia nel maneggiare quel pericoloso arnese. Ogni volta però una bacchettata sulle mani sorda e rapida come lo sguardo di ghiaccio della zia le avevano fatto cambiare idea. Eppure era certa che sarebbe stata in grado di farlo anche lei, avrebbe cucito degli zaini per i soldati meglio di come faceva sua zia e magari uno di quei giovanotti un giorno sarebbe diventato suo marito e l'avrebbe trattata come una regina portandola lontana dalle tre mamme acquisite. Un giorno finalmente la zia si allontanò lasciando incustodito il prezioso ago. Lei non ci pensò su due volte e afferrò quell'ago con della stoffa per non bruciarsi. Era così bello di un calore avvolgente. Dolcemente lo affondò tra l'unghia dell'indice e il polpastrello, giù quasi fino alla base. Avrei voluto chiederle perché avesse fatto quella mossa assurda ma non volevo interromperla. Aveva uno sguardo assente lontano nel tempo e nello spazio uno sguardo collegato come un filo sottile alla sua giovinezza e continuai ad ascoltare. L'ago scese dolcemente e tra l'odore di carne bruciata e i suoi occhi affascinati improvvisamente tutto si fece nero. Quando si svegliò il dito era deforme ma sano. Affrontò tre giorni di febbre con la mano fasciata e l'infezione che stava per trascinarla in un pozzo nero senza fine. Poi per destino guarì ma il dito roseo rimase sfregiato. Le tre zie per quanto arrabbiate pregarono ogni giorno e ogni notte al capezzale del suo letto facendo un voto a Santa Rosalia se mai l'avesse salvata. "Le compreremo un anello d'oro con i soldi che questo ago ci frutterà. Lo faremo in tuo onore, Santuzza, e lo indosserà sempre per tua devozione". All'alba del terzo giorno quando la febbre sparì le zie le donarono quell'anello. Le dissero che avrebbe dovuto indossarlo sempre in quel dito poiché la Santuzza l'aveva salvata e pechè mai avrebbe dovuto dimenticare che ognuno, nella vita, deve tenere il proprio posto come l'anello al dito così lei in quella casa. Che le piacesse o meno. Capì che non ci sarebbe stato nessun soldato gentile per lei. Le zie avevano già deciso che avrebbe sposato il figlio dello zzu Mommuzzo che già lavorava in pescheria da suo padre dimostrando di essere un buon lavoratore e quindi un buon marito. "U capisti?" La sua domanda schioccò come una frustata nella stanza, "Sì sì!" risposi e non le chiesi più nulla sul suo dito e sulla sua catena le cui maglie strette erano nascoste nell'oro opaco di quel brutto anello.
mercoledì 26 giugno 2013
C'era una volta
Per un caso fortuito ho trovato questo sito e ho avuto un colpo al cuore.
Il mio adorato Gobbolino era ancora vivo e presente in rete con tanto di pdf e di file audio.
Non so chi tu sia, ma grazie, grazie, grazie per avere condiviso questo tesoro.
Il mio adorato Gobbolino era ancora vivo e presente in rete con tanto di pdf e di file audio.
Non so chi tu sia, ma grazie, grazie, grazie per avere condiviso questo tesoro.
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